Malattia infiammatoria intestinale: una panoramica

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Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) o Inflammatory Bowel Disease (IBD) sono patologie dell’intestino ad origine sconosciuta la cui caratteristica è l’andamento cronico alternato a periodiche riacutizzazioni, con sintomatologia spesso analoga. È importante parlarne in quanto in questi anni l’incidenza è in costante aumento e ciò è dovuto al miglioramento delle conoscenze scientifiche e alla sensibilità delle indagini, anche se spesso vi è un ritardo diagnostico. La precocità della diagnosi è importante, specie in età pediatrica al fine di recuperare un ritardo di crescita che in questi casi è la regola. Storicamente sono a maggior prevalenza nel Nord Europa ma con notevole diffusione nelle regioni mediterranee (dovuta probabilmente al miglioramento delle condizioni socioeconomiche). Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento dei casi ad esordio in età pediatrica (25% di nuovi casi in soggetti con meno di 20 anni).

Le forme cliniche di infiammazione intestinale

Le forme cliniche comprendono: la malattia di Crohn (MC) o Crohn’s disease (CD), la colite ulcerosa (CU) (la maggioranza) e la colite indeterminata (una piccola minoranza). Molto rare invece sono le coliti microscopiche (forme collagenosica e linfocitaria). Fino al 20% dei casi nella forma indeterminata, l’infiammazione del colon è molto aspecifica e microscopicamente indistinguibile sia dalla CU che dalla MC. Pertanto, solo l’evoluzione clinica nel tempo potrà consentire la distinzione tra le due forme. In condizioni normali, la mucosa intestinale presenta un infiltrato infiammatorio cosiddetto “fisiologico’’. L’ipotesi scientifica prevalente è quella di una reazione immunologica abnorme da parte dell’intestino nei confronti di antigeni (per esempio batteri presenti normalmente nell’intestino). Questa condizione può derivare da: un’alterata interazione tra fattori genetici propri dell’individuo (alta predisposizione familiare maggiore nella MC rispetto alla CU); fattori ambientali (alimentazione ricca di proteine animali e povera di fibre che predispone ad infezioni intestinali e all’utilizzo di antibiotici che provocano cambiamenti della flora batterica commensale determinando un mancato adattamento del sistema immunitario alle nuove condizioni); fattori locali intestinali (le sedi più coinvolte sono quelle a più alta concentrazione di batteri e cioè l’ileo terminale e il colon con aumentata permeabilità e conseguente deficit di barriera). Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali sono da ricordare alcuni farmaci come uso prolungato di antiinfiammatori non steroidei, contraccettivi orali o anche antibiotici assunti durante l’infanzia. Il fumo di sigaretta sembrerebbe favorire la MC e ridurre il rischio di CU così come l’appendicectomia, che sembrerebbe diminuire il rischio di CU, anche se questo, tutt’ora è ancora oggetto di discussione. La CU e la MC sono accomunate da una sintomatologia simile: diarrea, dolori addominali, perdita di peso ed astenia; familiarità (alta concordanza nei gemelli); incidenza simile (fino a 10/100.000 soggetti); età di insorgenza (solitamente prima dei 30 anni, più spesso tra i 14 e i 24 anni, anche se in una ridotta percentuale dei casi le prime manifestazioni della malattia compaiono tra i 50 e i 70 anni di età); incremento dell’incidenza negli ultimi anni, specialmente nei più giovani; decorso cronico intermittente; elevata frequenza di manifestazioni extraintestinali e buona risposta al trattamento corticosteroideo. Le due malattie si distinguono però per la sede del tratto intestinale colpito, per la distribuzione e tipologia di lesioni nonché per l’evoluzione clinica.

I sintomi dell'infiammazione intestinale

I sintomi del MC variano in base alla zona intestinale interessata dalle lesioni ed i più comuni sono la diarrea cronica (di durata superiore alle 6 settimane), spesso anche notturna e associata a febbre, dolore addominale di tipo crampiforme (sovente a localizzazione in zona appendicolare) che peggiora dopo i pasti. Coesistono spossatezza, malessere generale con conseguente perdita dell’appetito e calo di peso involontaria, dovuta al malassorbimento da parte dell’intestino delle sostanze nutritive contenute negli alimenti e anche dalla riduzione della quantità di cibo a causa della comparsa dei disturbi. Raramente si osserva presenza di sangue e muco nelle feci. L’infiammazione può interessare ampi segmenti, dalla bocca fino all’ano.

Le sedi più frequenti sono l’ileo terminale e la regione ileocolica (circa il 50% dei casi); il piccolo intestino (40% dei casi) e il colon (10% dei casi). Per tale motivo vengo definite segmentarie. Le lesioni intestinali possono essere di diversa gravità, coinvolgendo comunque la parete intestinale per tutto il suo spessore.

Le complicanze della malattia sono legate all’infiammazione intestinale cronica che può determinare lesioni stenosanti (cioè restringimenti del tratto colpito) o forme peritonitiche settiche (per fuoriuscita di batteri dalla parete lesionata che necessitano di intervento chirurgico d’urgenza). Oltre alle suddette complicanze acute nel tempo possono svilupparsi complicanze metaboliche come conseguenza dei deficit nutrizionali (nei bambini ritardo di sviluppo e negli adulti dimagramento severo) ed essere presenti le manifestazioni extraintestinali (uveiti, scleriti, poliartriti, spondilite anchilosante, calcolosi colecistica e renale, ulcere aftoidi alla bocca).

I sintomi più comuni della CU sono correlati alla gravità e all’estensione delle lesioni. La diarrea è spesso presente da settimane o mesi (rare le forme di diarrea acuta) e caratterizzata dall’emissione di feci di consistenza ridotta, aumento della frequenza delle scariche diarroiche e della quantità di feci (più spesso la diarrea è notturna e meno frequentemente legata ai pasti). Associata alla diarrea vi sono: proctorragia (emissione di sangue rosso vivo dal retto e/o frammisto alle feci), muco nelle feci e tenesmo rettale (spasmo doloroso a livello anale, con sensazione di bisogno impellente di defecare e/o di evacuazione incompleta). Presente anche il dolore addominale di tipo crampiforme e solo occasionalmente nausea ed anoressia, mentre più spesso sono associati segni di disidratazione. Anche la febbre è occasionale così come il calo di peso che si osserva solo nelle forme gravi conseguenti a deficit nutrizionali. L’infiammazione gastrointestinale può interessare in circa il 50% dei casi la parte terminale del colon (proctite o proctosigmoidite) e la regione ileocolica; nel 40% tutto il colon sinistro e nel restante 10% diffusa a tutto il colon. Le lesioni possono essere nelle forme lievi di tipo continuo, caratterizzate da una parete iperemica (cioè arrossata da iperafflusso di sangue) oppure in quelle gravi, da mucosa edematosa, facilmente sanguinante e ulcerata. Nella malattia di lungo corso possono essere presenti anche i cosiddetti polipi infiammatori (pseudopolipi). Meno frequenti sono i casi di colite fulminante dove la parete intestinale diventa molto sottile ed ulcerata con rischio di perforazione e quadro di peritonite acuta (colite tossica o megacolon tossico). Anche la CU è associata a manifestazioni extraintestinali come nel MC.

La diagnosi dell'infiammazione intestinale

Non esiste un esame univoco per diagnosticare le malattie infiammatorie intestinali. Il percorso decisionale combina sintomatologia tipica, esami di laboratorio di primo livello (aumento dei marcatori di infiammazione quali PCR, VES, calprotectina fecale), anemia (da deficit di ferro e vitamine), alterazione dei parametri nutrizionali (carenza di assorbimento di nutrienti), alterazioni elettrolitiche, esami colturali fecali (che risultano negativi per infezioni) e caratteristiche tipiche delle lesioni in corso delle indagini endoscopiche. Negli ultimi anni il dosaggio della calprotectina fecale (proteina prodotta in quantità elevate in corso di infiammazione e resistente alla degradazione della flora batterica), identificata come markers infiammatorio intestinale, è stata di valido aiuto nella diagnostica. Aumenta nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, nelle infezioni e nelle forme tumorali del tratto gastrointestinale. Valori nella norma si osservano invece nella celiachia o nelle diverticolosi. Sia la CU che il MC sono riconosciuti come fattori di rischio per lo sviluppo di carcinoma del colon retto e in caso di malattie di lunga durata il rischio è fino a 6 volte maggiore rispetto all’individuo sano. Da qui l’importanza di una stretta sorveglianza endoscopica.

Il trattamento dell'infiammazione intestinale

Il trattamento mira a controllare l’infiammazione, ridurre i sintomi e ripristinare lo stato nutrizionale. Negli ultimi anni il trattamento è migliorato grazie sia all’introduzione di nuovi farmaci sia a metodiche diagnostiche più accurate. La centralità del paziente e l’analisi dei suoi bisogni è diventata il punto di partenza per un approccio multidisciplinare di tipo diagnostico, terapeutico e sociale. Il trattamento è farmacologico oppure chirurgico (a seconda della presenza o meno di complicanze) legato alla complessità del quadro. Dall’analisi di numerosi studi le diete drastiche non hanno dimostrato benefici significativi. La gestione dello stress, invece, può essere molto utile.

Come curare l'infiammazione intestinale

Cosa prendere?

I farmaci utilizzati comprendono antinfiammatori non steroidei (efficaci nelle fasi di recrudescenza); corticosteroidi (efficaci nelle riacutizzazioni meno nella terapia di mantenimento a lungo termine); immunomodulanti; anticorpi monoclonali; antibiotici e integratori a base di probiotici. Circa il 50% dei pazienti con MC e circa il 20% dei pazienti con CU necessitano di intervento chirurgico entro 10 anni dalla diagnosi e ciò può impattare negativamente sia clinicamente che psicologicamente sulla qualità di vita dei pazienti, già segnata dall’imprevedibilità delle recidive che rendono di difficile pianificazione il quotidiano. Impegni familiari, attività lavorativa e rapporti sociali sono compromessi da ripetuti episodi di assenteismo per malattia, da sindromi ansioso-depressive dovute alla difficoltà ad instaurare relazioni personali oppure da fenomeni discriminatori. A tutto ciò si associa la ”mancata” aderenza alla terapia (fino al 70% dei casi), correlata alla giovane età dei pazienti, all’attività lavorativa “frenetica” e alla frequenza delle recidive (più sono di breve durata meno terapie si assumono). È stato osservato che nella CU i “non aderenti” hanno un rischio aumentato di riacutizzazione di malattia 5 volte in più rispetto a coloro che assumono la terapia quotidianamente. Ciò comporta aumento dei costi sanitari, scarsa qualità di vita ed aumento della mortalità.

Fonti

    1. Libro Bianco della Gastroenterologia Italiana Ed.2011
    2. AIGO Lazio incontra i medici del territorio: La gestione del paziente con IBD: quello che il medico di famiglia deve sapere Ed.2020
    3. Kennedy et al. Association Between Level of Fecal Calprotectin and Progression of Crohn's Disease.Clin Gastroenterol Hepatol. 2019 Oct;17(11):2269-2276.e4. doi: 10.1016/j.cgh.2019.02.017. Epub 2019 Feb 14.
    4. Chan et al. Medication adherence in inflammatory bowel disease. 2017 Oct;15(4):434-445. doi: 10.5217/ir.2017.15.4.434. Epub 2017 Oct 23.