Anosmia e ageusia: due sintomi correlati al COVID-19

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Riduzione/perdita dell’olfatto (iposmia/anosmia) e del gusto (ageusia) quali importanti manifestazioni del COVID-19

Prima di entrare nel merito della riduzione/perdita dell’olfatto (iposmia/anosmia) e del gusto (ageusia) quali importanti manifestazioni del COVID-19 è opportuno un breve excursus storico. La rapida diffusione del SARS-Cov2, com’e nella memoria collettiva, ha colto alla sprovvista sia i servizi assistenziali, costretti improvvisamente a far fronte a un’emergenza inimmaginabile, sia i medici, che all’inizio della pandemia non disponevano di un sufficiente bagaglio di conoscenze sul virus. Una delle problematiche più impellenti, in effetti, era il riconoscimento precoce della malattia, di cui molti sintomi si sovrappongono al tipico quadro influenzale. Proprio con questo obiettivo l’équipe dell’Ospedale Sacco di Milano ha ideato e validato un questionario (EPICOVID19) basato sulla raccolta dei disturbi riportati dai singoli individui e mirato a identificare i casi meritevoli di immediato approfondimento diagnostico. Proprio tra questi disturbi, la perdita di olfatto e gusto è risultata fortemente suggestiva di COVID-19, essendo stata riscontrata nel 52% dei soggetti con infezione in atto rispetto a meno del 12% di quelli non affetti. Questo rilievo, che è stato successivamente confermato da altri ricercatori e nei bambini, è diventato così un prezioso indicatore, al punto da essere evidenziato anche dai mass media quale utile elemento diagnostico.

Cause e significato

L’interrogativo che sorge spontaneo è la ragione per cui il SARS-Cov-2 provochi anosmia e ageusia. La spiegazione è chiara e immediata: questo virus, oltre a colpire l’apparato respiratorio, è neurotropo, ossia è in grado di infettare le cellule nervose. Una prerogativa, questa, che lo accomuna ad altri virus, tra cui, per esempio, quelli del morbillo, della varicella e dell’influenza. Sono ben quattro i meccanismi “neuroinvasivi” del SARS-Cov2 finora identificati: l’interessamento diretto dei recettori olfattivi, localizzati nelle cavità nasali; l’ingresso all’interno dei leucociti, dai quali viene trasportato nell’intero organismo, incluso il sistema nervoso centrale; attraverso i nervi cranici e infine attraverso l’endotelio vascolare, ossia il sottile rivestimento interno dei vasi sanguigni. Anche il danno provocato dal SARS-Cov2 alle cellule nervose può essere sostenuto da vari meccanismi, e in particolare può essere diretto oppure mediato dall’attivazione dei processi infiammatori (la cosiddetta “tempesta citochinica”), responsabili anche di altre potenziali conseguenze a livello neurologico, quali convulsioni, delirio, eventi ischemici ed emorragici.

Prognosi

Alla luce di quanto illustrato, è evidente che ogni caso è diverso: l’entità e la durata dell’anosmia, in altre parole, dipendono dall’azione del virus. Spesso il recupero dell’olfatto avviene nell’arco di una o poche settimane, ma un’indagine canadese su 704 operatori sanitari ha documentato una permanenza fino a 7 mesi. Se da un lato, per la natura della lesione, non ci sono terapie specifiche per l’anosmia, che può avere molteplici ripercussioni psico-comportamentali, dall’altro un dato confortante è che con il passare del tempo, anche nei casi di più lungo decorso, si osserva un progressivo recupero della funzione olfattiva. Una curiosità, infine. Indipendentemente dal COVID-19, già nel 2012, era stata istituita, il 27 febbraio, la Giornata Mondiale dell’Anosmia, per promuovere sensibilizzazione nei confronti di un disturbo che interessa molti più individui di quanti si possano immaginare (fino a più di un quinto degli uomini adulti e oltre metà degli ultra85enni, com’è emerso da un’indagine negli Stati Uniti).

Bibliografia

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