Sindrome post COVID

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Il Long Covid: sindrome del paziente guarito dal Covid-19 e negativo al tampone che continua a manifestare sintomi legati alla malattia

La pandemia prosegue ma allo stesso tempo un numero crescente di soggetti, superata la fase acuta,  ritorna alle normali attività quotidiane. Non sempre, alla guarigione clinico-virologica corrisponde il pieno recupero di un benessere fisico e psicologico. Il tampone negativo non significa che il corpo sia guarito: secondo uno studio dell'Università del Michigan i pazienti continuano a presentare dei sintomi fino a molti mesi dopo l’infezione acuta.

Mentre i sanitari stanno ancora curando i pazienti con malattia acuta, contemporaneamente si sta cercando di sviluppare una sorveglianza coordinata dei sintomi a lungo termine per comprenderli meglio e fornire una guida per la gestione clinica in ottica futura.

La fine della fase acuta per molti pazienti rappresenta quindi solo l’inizio di un lungo cammino di recupero.

In realtà oltre a quelli che sono stati ricoverati in Terapia Intensiva anche i pazienti che hanno contratto forme meno severe possono residuare deficit funzionali dovuti alla capacità del virus di colpire altri organi oltre alle vie respiratorie. Le manifestazioni sono molto variegate tali da richiedere un approccio multidisciplinare. Sulla base di queste osservazioni è stata definita la sindrome post-COVID”, dal profilo tuttora incerto, ma che richiede un non trascurabile impegno assistenziale al quale nessun professionista può sottrarsi.

In assenza di solide evidenze scientifiche e di un pieno accordo sulla definizione delle fasi post-acute di COVID-19, le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) distinguono:

  • COVID-19 acuto, caratterizzato da sintomi e segni che durano fino a 4 settimane;
  • COVID-19 sintomatico con sintomatologia persistente dalle 4 alle 12 settimane;
  • sindrome post-COVID-19: sintomi e segni che compaiono già durante la fase acuta e persistono per più di 12 settimane, senza una causa attribuibile ad altre patologie. Altri autori, per indicare la fase immediatamente post-acuta (dopo le 4 settimane) e quella più tardiva (oltre le 12 settimane), parlano rispettivamente di “COVID-19 post-acuto” e di “COVID-19 cronico”.

Sindrome da Long COVID: che cos’è e quali sono i sintomi

In alternativa è entrato nell’uso comune il termine “Long COVID” per indicare i sintomi e i segni che persistono a lungo termine, senza distinguere tra una fase precoce e una tardiva.

Il Long-COVID va distinto dalla sindrome post-terapia intensiva (Post-Intensive Care Syndrome o PICS), caratterizzata da funzionalità polmonare compromessa, debolezza neuromuscolare, disturbi psicologici a lungo termine e ridotta qualità della vita. Questa condizione è comune tra le persone con infezioni acute gravi. 6

Le cause non sono ancora state chiarite. Le ipotesi più accreditate sono: viremia persistente dovuta a una debole o assente risposta anticorpale; recidiva e/o reinfezione; reazione infiammatoria e/o immunologica; decondizionamento fisico.

La diagnosi di Long-COVID è prettamente clinica e si basa su una storia di infezione da COVID-19 e un mancato recupero completo con lo sviluppo di alcuni dei sintomi elencati nella tabella seguente.

Tabella 1: sintomi/sindromi che possono manifestarsi in varia combinazione

I sintomi più frequenti del long COVID sono tosse, febbricola e astenia ad andamento fluttuante. In particolare l’astenia si identifica con fatica, spossatezza e dolori muscolari diffusi. Alcuni sintomi del Long-COVID sembrano simili a quelli della sindrome da stanchezza cronica anche se in realtà rispetto a quest’ultima, la sindrome post COVID sembra manifestarsi con un corteo sintomatologico molto più ampio. In particolare i problemi di affaticamento, inteso come debolezza muscolare, sono quelli più debilitanti e a cui conseguono disturbi del sonno, scarsa qualità di vita, bassa tolleranza allo sforzo fisico e disturbi psicosomatici (il 35% dei pazienti con Long Covid ha riportato disagio, il 13% ansia e l’11% depressione) fino al ricorso ai servizi di salute mentale. Vari studi hanno riportato la debolezza muscolare nel 52% dei casi al follow up a 6 mesi e nel 30% dei casi a due anni dal ricovero. Alla debolezza muscolare erano associati fino al 40% altri sintomi tra cui dolori articolari, palpitazioni, vertigini e mal di testa. I disturbi del sonno riguardavano ancora il 31% dei soggetti.

Sindrome post COVID 19: durata e tempi di recupero

La frequenza con cui si manifestano i sintomi è ancora incerta, a causa della eterogeneità dei dati e delle limitazioni procedurali degli studi attualmente disponibili. Ciò crea incertezza nella diagnosi e una ampia variabilità nell’identificazione di questa condizione. In generale si ritiene che la probabilità di sviluppare Long-COVID non sia correlata alla gravità dei sintomi nella fase acuta.

Anche le certezze sulla durata di questa sindrome, con i tempi di recupero più o meno lunghi e variabili sono in stretta dipendenza dall’entità dei disturbi. Uno studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine ha mostrato che la metà delle persone con Long Covid riportano ancora almeno un sintomo legato alla malattia dopo ben 24 mesi (circa il 55% dei pazienti). In realtà la somministrazione di questionari sullo stato della salute fisica e mentale dei pazienti, comunque, ha mostrato un miglioramento nel tempo: la quota di chi riferiva sintomi dopo due anni è stata minore rispetto al 68% che riportava ancora problemi associati alla malattia a 6 mesi post-guarigione. A tutt’ora pur in mancanza di criteri chiari e condivisi a livello globale, per identificare il Long-COVID si rende comunque necessario definire un percorso di cura.

Le linee guida NICE consigliano d’informare tutti i pazienti COVID sulla possibilità che la malattia abbia un decorso protratto e di fornire una serie di indicazioni utili per autogestirsi. Vi è la necessità di coinvolgere pienamente il paziente rendendolo parte attiva del suo percorso di cura. Deve essere consapevole che i tempi di recupero variano a seconda dei casi, anche se come descritto, nella maggior parte la sintomatologia si risolve entro alcuni mesi; la probabilità di un decorso prolungato non dipende necessariamente dalla severità della malattia acuta o dall’essere stati ricoverati in ospedale; i sintomi possono modificarsi in modo imprevedibile e avere un andamento fluttuante nel tempo.

L’attuale assenza di studi a lungo termine e di solide evidenze determina un approccio empirico  sintomatico guidato dalla prevalenza dei sintomi e un approccio multidisciplinare con l’obiettivo di ridurre, parzialmente o totalmente, il "deficit" mediante il miglioramento delle funzioni rimaste integre  permettendo al soggetto di "vivere" al massimo delle sue capacità.