Come reagisce il sistema immunitario dei bambini al Covid

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Tutti gli individui di qualsiasi età e sesso sono suscettibili all’infezione da parte del SARS-CoV-2, il nuovo coronavirus responsabile del COVID-19. La gravità e la mortalità della malattia sono più elevate nelle persone anziane e con malattie croniche. Nel complesso, i bambini hanno un decorso più lieve dell’infezione con un gran numero di soggetti asintomatici o oligosintomatici. I sintomi sono rappresentati da febbre e tosse, che si risolvono con terapie antipiretiche o antinfiammatorie nel volgere di qualche giorno. I casi complicati sono legati alla comparsa della sindrome multinfiammatoria sistemica (MIS-C) o alla compromissione multiorgano, più frequente in soggetti con patologie croniche e complesse compresa l’obesità, che in età evolutiva è un fattore di rischio riconosciuto in corso di COVID-19 per la comparsa di complicanze e per decorso sfavorevole. 

I profili clinici

Come tutte le malattie infettive acute delle vie respiratorie, il SARS-CoV-2, si trasmette attraverso le goccioline di Pflugge o “droplets” emesse dai soggetti infetti con gli starnuti, la tosse o il respiro. Il periodo di incubazione è variabile ma dura in media da 3 a 5 giorni, quando comincia la sintomatologia respiratoria. Il virus determina una riduzione della risposta immunitaria innata e un ritardo di attivazione della risposta immunitaria cellulare, mediata dai linfociti T. Ciò è dovuto ad una compromissione della funzione delle cellule dendritiche o APC (Antigen Presenting Cells), cellule deputate a catturare e trasportare l’antigene virale dalle mucose verso il sistema immunitario per indirizzarne la risposta specifica. La maggiore efficacia dell’immunità innata nei bambini rispetto agli adulti, anche dovuta ai frequenti contatti con gli agenti infettivi nei primi anni di vita ed alle vaccinazioni, potrebbe giustificare la loro maggiore resistenza alla malattia e il minore impatto clinico in termini di gravità dei sintomi e di complicanze in confronto con gli adulti e con gli anziani.  Inoltre, nei bambini alcuni dei recettori nei confronti del ceppo originario del coronavirus sono meno concentrati, sebbene le nuove varianti abbiano la tendenza a legarsi con recettori diversi, ben espressi anche sulle membrane delle cellule dell’apparato respiratorio dei bambini. Anticorpi protettivi e neutralizzanti il virus sono presenti nei bambini già dopo due settimane dalla infezione in oltre l’80% dei casi, ma la loro presenza in concentrazioni adeguate si riduce già dopo alcuni mesi e dopo 2 anni può non essere più rintracciabile. Questo comportamento si rileva anche nei confronti degli altri coronavirus responsabili del raffreddore comune e spiega la possibilità e la frequenza delle reinfezioni.

Come agisce il sistema immunitario dei bambini

A svolgere il ruolo neutralizzante nei confronti del virus sono gli anticorpi diretti contro la proteina S, determinante nella struttura dell’envelope virale, nota con il termine ”spike”. Alcuni studi hanno dimostrato la persistenza degli anticorpi contro SARS-CoV-2 ad oltre 10 mesi dall’infezione in tutte le fasce di età, con un picco anticorpale più alto nei bambini rispetto agli adulti e una concentrazione fino a 5 volte maggiore nei bambini di età inferiore ai tre anni rispetto agli adulti. Come per le altre infezioni virali, il controllo della malattia e la sua guarigione non sono legati solo alla sintesi di anticorpi specifici, ma alla attivazione di una risposta cellulare efficace, che si esprime con la sintesi di T linfociti con recettori CD4 e CD8 in linea con il profilo di risposta Th1, orientato cioè verso la clearance virale dalle mucose respiratorie e il controllo della malattia. Come ogni agente virale che si diffonde attraverso le vie respiratorie, il SARS-CoV-2 ha un periodo di incubazione variabile da alcuni giorni ad una settimana, che precede la comparsa dei segni clinici, generalmente a carico delle alte vie aeree, ma in qualche caso anche delle basse vie, con tosse, febbre, cefalea e rinorrea. La sintomatologia è il frutto anche dell’impatto che hanno sulle mucose sia il virus sia le citochine proinfiammatorie liberate nel focolaio infettivo, con conseguente necrosi ed essudazione. La risposta antinfettiva, inizialmente aspecifica e innata, diviene quindi successivamente specifica per il coinvolgimento dei linfociti T e B responsabili dell’immunità cellulare e umorale. La guarigione dalla malattia si accompagna alla attivazione di una risposta orientata anche verso la memoria immunologica, processo legato al reclutamento di plasmacellule a lunga attività (long lived) e alle cellule B della memoria dislocate nei centri germinativi e nei follicoli degli organi linfatici secondari. Attraverso i linfociti della memoria immunologica resta, nella programmazione epigenetica di queste cellule immunitarie, la traccia degli antigeni verso cui indirizzare la risposta anticorpale con maggiore efficacia e rapidità, nel caso di un nuovo incontro o di una reinfezione.

Vaccinazione anti Covid-19

La memoria immunologica è il meccanismo di prevenzione che sfruttano anche i vaccini nel predisporre una difesa nei confronti di infezioni che, se non mediate dalla presenza di una difesa immunitaria, possono rivelarsi gravi e in alcuni casi letali. Il feto, già alla 14° settimana di gestazione, dispone di cellule B e T linfocitarie, la cui diversificazione si completa intorno alla 26° settimana di gestazione. L’incompleta differenziazione cellulare e la ridotta produzione di citochine ed altre componenti cellulari, condiziona la grande suscettibilità a contrarre infezioni e a sviluppare malattie infettive del prodotto del concepimento e del neonato ed è una delle motivazioni per cui le vaccinazioni del primo anno di vita vengono avviate solo dopo il compimento del secondo mese di vita. In relazione a questi dati, si ribadisce l’importanza della vaccinazione anti COVID-19 durante la gravidanza e l’allattamento per proteggere sia la gestante e la puerpera che il neonato. Una infezione in gravidanza può infatti rendersi responsabile di travaglio e parto pretermine e di complicanze respiratorie e multinfiammatorie sistemiche.

Conclusioni

Il COVID-19, nei bambini come negli adulti, è una malattia potenzialmente sistemica, che può manifestarsi con sintomi di entità variabile a carico di numerosi distretti corporei oltre a quello respiratorio: cute, apparato gastroenterico, sistema nervoso, cuore. Il virus si localizza infatti in altre mucose, come quella intestinale, con ricadute anche in termini di contagiosità e trasmissione. Non è raro trovare infatti nei bambini all’esordio o durante la fase evolutiva della malattia sintomi quali vomito, diarrea, cefalea, rash cutaneo o dermatiti oltre a febbre, tosse e rinorrea. Il virus, infatti, evoca una risposta infiammatoria esuberante, con richiamo di leucociti ed espressione di citochine. In alcuni casi il virus innesca la sindrome MIS-C, sindrome infiammatoria multisistemica con un quadro clinico inizialmente confuso con quella della malattia di Kawasaki da cui si distingue per differenze cliniche, istopatologiche ed evolutive. Non sono esclusi quadri autoimmuni e neuroinfiammatori e problematiche cliniche a distanza nell’ambito di quella condizione ancora sfumata nei suoi termini temporali, definita long-COVID, e che sembra avere un profilo clinico e sintomatologico diverso rispetto a quello segnalato negli adulti.

Su queste basi si fonda l’importanza della prevenzione del COVID-19 anche in età evolutiva, sia nei bambini di età superiore a 5 anni, per cui è già disponibile un vaccino efficace, protettivo e sicuro, che nei bambini di età inferiore a 5 anni per i quali lo sarà in tempi brevi, considerati i risultati favorevoli degli studi in corso e l’imminente processo di commercializzazione e diffusione nella popolazione pediatrica.

Fonti

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